Gorizia: una città di confine troppo spesso dimenticata

Breve itinerario gastronomico in terra giuliana

di Daniele Del Zotto

Arrivo a Gorizia alle prime ore del mattino: ancora dorme. Un po’ il clima (siamo a fine febbraio ma l’umidità e il clima mi riporta all’inizio d’autunno), un po’ lo zampino del covid-19, mi fanno entrare in un luogo deserto e silenzioso dove l’architettura del periodo Mitteleuropeo si affianca a quella popolare del primo dopoguerra fino a fondersi con quella internazionale del secondo Novecento. 

Affiancate a supermercati incastonati negli edifici più recenti, sono sopravvissute alcune botteghe, un paio di negozi di generi alimentari e molti bar. Qua, il concetto di bar, è ancora inteso come “Caffè all’Italiana”: un posto dove ti senti come a casa, dove tutti sorridono e puoi startene tranquillo a leggerti il giornale. Scelgo il Caffè storico, vicino al teatro comunale e faccio colazione con vista sul crocevia di una città che poco a poco si anima.

Gorizia è piccola ma alcuni suoi viali imbrogliano, un po’ come Lisbona.

Passeggio per il centro e arrivo al mercato coperto, un bell’edificio Liberty ricco di bancarelle di frutta, verdura e prodotti locali; un luogo dove si conferma che per noi italiani, quello di “fare la spesa” è ancora un rito, un momento di svago e, soprattutto, di socializzazione. Acquisto la “rosa di Gorizia”, il radicchio dalla caratteristica forma di questo fiore, e devo decidere dove prendere il secondo caffè della mia giornata: poco distanti l’uno dall’altro, due locali che incarnano due stili di vita; due nomi importanti della torrefazione triestina convivono: il primo, con il suo piccolo spazio, le sue scatole di confetteria e biscotti mi riporta alla discreta tradizione dell’aristocrazia industriale di inizio secolo; l’altro, più frizzante e affollato, ti inghiotte in un’atmosfera internazionale. Dal primo, esce un attempato distinto signore che dopo aver salutato, inforca la bicicletta che non aveva incatenato; nell’altro, un andirivieni di persone di tutte le età, molti giovani. Dal primo, esce l’aroma di caffè; dal secondo esce solo rumore.

Un po’ più in là, un “salumi e formaggi” con le persiane mezze abbassate per proteggere dal sole l’esposizione offre “mortadella con tartufo”, “carrè di stufato di maiale dell’Alto Adige”, “Canederli di Merano” e “crauti della Val Venosta”. Passo oltre e cerco, piuttosto, qualcuno che proponga i “capuzi garbi in tecia” o “prosciutto cotto nel pane”.  E’ l’olfatto a farmi trovare una minuscola rosticceria che espone un cartello che festeggia i 40 anni di attività; e poi: una bottega âgée di tuberi, cereali e granaglie esposti in colorati sacchi di rafia e a seguire, quasi ironicamente, un piccolo laboratorio artigianale di dolci da dispensa e lievitati gluten-free.

LA TRATTORIA STORICA: “Qua si mangia goriziano”

Un pranzo alla Trattoria Alla Luna

A mezzogiorno ho già fame e sono il primo ad entrare per pranzare nella più storica delle trattorie di Gorizia, segnalata, negli anni, nelle edizioni di Slow Food e del Gambero Rosso; propone dal 1876 la tradizione della cucina di questo territorio. Mi accoglie, con sincera cordialità, la signora Celestina e mi affida all’impeccabile servizio di Elena e Roberta.

Accompagno l’amuse-bouche , una polpettina infilzata in uno stecchino, con un calice di Ribolla Noir di Primosic: i caratteri principali della Ribolla si sentono e sono ingentiliti da una bassa percentuale di Pinot Nero; aromatico, con una leggera tannicità che si integra discretamente alla mineralità della Ribolla Gialla. L’ho trovato poco persistente e poco intenso dal punto di vista olfattivo. Va bene come aperitivo e servito bello fresco.

L’antipasto: tra le varie proposte scelgo una terrinetta di Rosa di Gorizia (www.rosadigorizia.com) con noci, pinoli e melograno; questo radicchio DOP è soffice e setoso ed è piacevole l’abbinamento con la frutta secca e la freschezza dei grani del melograno. Assaggio anche dei fiocchi di ricotta vaccina serviti con mele, rucola e songino: abbinamento interessante e la ricotta che, come mi è stato detto, proviene da un caseificio locale, era veramente buona.

Da qui in poi, mi accompagna un pinot nero del giovane e simpatico Francesco Rotolo, figlio d’arte con le aziende di famiglia Mario Schiopetto e Volpe Pasini, che qualche anno fa ha creato la nuova linea Confinis proponendo, tra una selezione dedicata quasi esclusivamente ai bianchi, anche due rossi in purezza. Lo trovo un vino elegante e gentile, equilibrato e profumato.

Il primo piatto: anche in questo caso, mi propongono alcune pietanze interessanti. Decido di assaggiare gli gnocchi ripieni di frutta e l’orzotto preparato con una delle ricette di stagione; i primi, che vengono proposti come piatto del buon ricordo e sono cugini dello gnocco di prugne triestino, hanno una buona consistenza ed il ripieno, a base di frutti di bosco, si lega elegantemente con l’impasto di patata. Il burro nocciola, a condimento del piatto, ammorbidisce i sapori rendendo il tutto più succulento e fluido. L’orzotto viene presentato in un barattolo ermetico che potrebbe lasciar intendere che la cottura è stata eseguita in vaso cottura; una preparazione semplice: l’orzo è cotto al punto giusto e, tra il misto di spezie, spicca, forse troppo, il gusto del coriandolo secco.

Il secondo piatto: il Goulash alla Goriziana. Quando chiedo quale sia la differenza con quello Mitteleuropeo, (uno spezzatino speziato di origini contadine che si è diffuso in molti paesi grazie ai gulyás, mandriani in ungherese) mi viene risposto, simpaticamente: “zè più bòn!”. La consistenza della carne di manzo, forse dovuta ad un taglio troppo magro, probabilmente sottofesa, è molto solida ma ben masticabile. Dal sugo, ben addensato, spicca l’aroma e il gusto dell’aglio. E’ leggermente piccante e non emerge l’acidità del pomodoro. Viene servito con una polenta gialla, poco rustica e più simile, per la leggera consistenza e lucidità, ad un flan.

Giudizio: 🥄🥄🥄

🥄* i cucchiai, da 1 a 5, esprimono il mio personale giudizio basato, oltre che sul piatto, sull’atmosfera, sul servizio e sul menú.

La cucina goriziana racchiude la cultura giuliana, friulana e slovena ed una piccola eredità di quella veneziana.

© Autore: Daniele Del Zotto
Luxury Hotels & Restaurants Director