Il food delivery: virus nella ristorazione tradizionale

Perché il food delivery non abbatterà la ristorazione tradizionale, fatta di pranzi e cene in ristoranti e trattorie?

di Daniele Del Zotto

Osterie e taverne, luoghi all’interno dei quali un viandante si poteva fermare per rimettersi in forze con cibo e bevande, si perdono nella notte dei tempi ma il primo locale ad assumere il termine di ristorante fu di un cuoco parigino, certo Monsieur Boulanger che adottò, per primo, la forma di servizio, ancor oggi usata in quasi tutti i ristoranti del mondo. Per la prima volta, nel 1765, a Parigi, nella sua attività in rue du Louvre, allora rue des Poulies, questo marchand de bouillon, mercante di brodo, faceva sedere i suoi clienti ad un tavolo dedicato facendoli scegliere da un vero e proprio menù sul quale compariva il brodo, la carne bollita, le uova e i piedini di montone in salsa bianca che diedero fama e notorietà al Boulanger poiché apprezzatissimi dal re Luigi XV che se li faceva portare a Versailles e che sono stati riproposti, in tempi moderni, dal grande chef francese Paul Bocuse.

Boulanger aprì il primo ristorante del mondo nel 1765 e, grazie alla fama acquisita, ne aprì altri due: uno nel 1773 e l’altro nel 1782: un po’ la strada che prendono alcuni moderni chefs stellati della Guida Michelin, solo che quelli di Boulanger son durati nel tempo.

Il piacere del cibo e l’atmosfera che Monsieur Boulanger aveva saputo creare nel suo restaurant, cominciarono ad attirare la nobiltà dell’epoca che qui si riuniva, non solo per degustare il suo famoso brodo, ma per trascorrere piacevoli momenti di convivialità con amici e famigliari o per discutere d’affari.

La voglia di convivialità ha tenuto viva la formula del ristorante sino ai giorni nostri: ristorante inteso come posto da frequentare, non solo per sfamarsi ma per trascorrere bei momenti in compagnia in un ambiente, possibilmente, accogliente.

La convivialità e la socializzazione sono radicate nello spirito degli italiani che amano frequentare bar e ristoranti: in media, usciamo a pranzo o cena 6 volte al mese. Da un’analisi statistica DOXA si evince che solo il 16% degli italiani usa i ristoranti solo una volta al mese.

Nella classifica dell’indagine DOXA svolta per conto di GRUPON sono stati elaborati questi punti:

  • 1 italiano su 2 classifica la cena al ristorante come un momento di benessere
  • Il 30% degli italiani classifica la cena al ristorante come momento di socialità e relazione
  • Il 26% degli italiani classifica la cena al ristorante come momento di sperimentazione culinaria
  • Il 91% degli italiani dichiara che, in futuro, si continuerà ad andare al ristorante per il piacere della compagnia
  • Il 90% degli italiani preferisce l’atmosfera di un ristorante a quella domestica
  • Il 60% degli italiani va al ristorante con amici
  • Solo il 13% degli italiani organizza una cena ad esclusivo scopo culinario

Analizzando i suddetti punti, si capisce, nell’uscire a cena, quanto valore sia dato alla socialità e al benessere personale. Il ristorante è un luogo grazie al quale si può staccare la spina della routine quotidiana; il ristorante è un posto dove si va per farsi coccolare e vivere un momento spensierato e di relax.

Da qualche anno stiamo assistendo ad un fenomeno in forte crescita: quello delle consegne a domicilio di ogni tipo di merce: dagli abiti agli elettrodomestici, dai libri alla spesa. Ti colleghi, ordini, paghi e ricevi a comodamente a casa l’acquisto: si chiama e-commerce.

Con l’ingresso nell’e-commerce alimentare di Just Eat, Deliveroo, Foodora, Glovo e UberEats non è stata apportata un’innovazione bensì una modernizzazione tecnologica; è stato sviluppato un diverso metodo di somministrazione del cibo, senza progresso.

Le consegne a domicilio esistono da decine e decine d’anni: per la spesa, ci pensava il garzone dell’alimentari di quartiere; per il cibo, la pizzeria o il bar sotto casa.

Ordiniamo la pizza” è una frase di noi italiani che da sempre racchiude un non ho voglia di cucinare o non ho niente in frigorifero. E’ la frase che implicitamente significa che l’unico alimento che può arrivare ancora mangiabile a casa, pur affrontando un seppur breve tragitto esterno, è la pizza.

L’altra sera, di domenica, ho detto il mio “Ordiniamo la pizza”. Mi sono collegato a Just Eat e mi sono comparse decine e decine di pizzerie, hamburgherie e ristoranti cinesi. Ho esplorato i menù: un paio di pizzerie offrivano anche qualche primo piatto di pasta e qualche costoletta alla milanese. Noi italiani la pasta la vogliamo al dente e la costoletta calda e croccante. Nello scegliere chi avrebbe cucinato la mia pizza, mi son perso tra offerte, scontistiche e promesse di rispetto dei tempi di consegna. S’era fatto tardi e non avevo più tempo, allora ho chiamato la mia pizzeria d’asporto preferita: rispondono subito, sono gentili, si ricordano di me cosicchè non devo ripetere ogni volta l’indirizzo, rispettano l’orario di consegna promesso, la pizza è buona e sanno che preferisco che me la taglino a spicchi.

Ho poi pensato ai gestori di questo laboratorio per pizze d’asporto: sono 15 anni che ordino la pizza da loro e quando sono arrivato in questa città, erano già lì. In decenni, hanno avviato un’attività che come core business ha la consegna di pizze a domicilio. La loro licenza non permette di posizionare tavoli all’esterno del loro laboratorio per far accomodare i clienti. Con l’entrata nel mercato di Just Eat, Deliveroo e compagnia bella, hanno visto, d’un tratto, decuplicare la concorrenza perché qualsiasi ristorante può, nel rispetto della Legge, spedire cibo nelle case di chi lo ordina grazie alla solerzia di delivery boys sottopagati e senza assicurazione.

A chi pensa che questo sia sviluppo, dedico quanto espresso da Pierpaolo Pasolini nei suoi Scritti Corsari: “La differenza tra lo sviluppo e il progresso è enorme; sono due cose non soltanto diverse ma addirittura opposte e per quel che riguarda questo particolare momento storico, addirittura inconciliabili”. “L’Italia è un Paese circolare, gattopardesco, in cui tutto cambia per restare com’è, in cui tutto scorre per non passare dal vero”.

Penso fermamente che il food delivery, in Italia, non soppianterà i ristoranti tradizionali ed il piacere di uscire a cena. La cultura della convivialità, dell’aggregazione e del buon cibo è radicata nello spirito di questa grande Nazione e degli italiani. Mi auguro che l’intellĭgentĭa che governa il nostro Paese, agisca con Leggi a tutela della leale concorrenza e del rispetto dei lavoratori, affinchè il ristorante torni a fare il ristorante e il laboratorio gastronomico d’asporto continui a mandarmi la pizza a casa.

Venite ad me omnes qui stomacho laboratis et ego vos restaurabo

(Venite a me tutti voi che avete lo stomaco sofferente e io vi risanerò)


La Ricetta: Piedini di montone in salsa bianca

I piedi di montone sono funghi diffusi in molte regioni d’Italia, conosciuti anche come:

  • Piede di capra
  • Lingua di brughiera.
  • Barbone. (Veneto)
  • Fungo di Pietra (Calabria)
  • 600 gr di piedini di montone
  • 4 spicchi d’aglio fresco
  • Erba cipollina
  • Prezzemolo
  • 250 ml di besciamella
  • 3 cucchiai di olio d’oliva
  • Sale e pepe appena macinato
  • Fette di pane rustico tostato

Pulite e lavate molto bene i funghi e asciugarli avvolgendoli in un panno da cucina. Soffriggere gli spicchi d’aglio e i funghi nell’olio per 5 minuti, mescolando costantemente. Abbassare la fiamma, aggiungere l’erba cipollina e il prezzemolo tritati finemente. Continuare la cottura per 8 minuti. Salate e pepate. Versare la besciamella e fate bollire leggermente per altri 2 minuti. Servire con crostoni di pane rustico abbrustolito.


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© Autore: Daniele Del Zotto
Luxury Hotels & Restaurants Director